domenica 31 marzo 2013

Motorino, l'idolo del mattino

Motorino, l’idolo del mattino
 

(estratto da Fangén, di Manuel Ciarleglio, ed. Epika, aprile 2013)



La campana d’entrata della scuola "Irma Bandiera" suonava alle otto e un quarto.
Noi fangén del Pratello, per andare a scuola, risalivamo l’ultimo tratto di via Pietralata, quello che sfocia in via Sant’Isaia. Lì, ogni mattina, vedevamo aprirsi dall’altra parte della strada il pesante portone ligneo del numero 90.
Nessuno di noi lo sapeva, ma quello era ‒ o meglio, era stato ‒ il manicomio di Bologna.
Il portone si apriva alle otto in punto; Motorino, l’idolo del mattino, era sempre il primo ad uscire, e noi fangén, appena vedevamo la sua figura smilza, attraversavamo via Sant’Isaia come uno stormo di fagiani isterici, mentre ciclisti e conduttori di autobus maledicevano noi e le nostre madri.

Il trambusto di traffico e bambini urlanti alterava i nervi di Motorino che, allarmato, metteva in moto se stesso e partiva a tutta velocità. Filava via a braccia aperte, nella tipica posizione di chi guida una Vespa o una Lambretta; ricordo che manteneva una rigidissima verticalità di testa e collo, smarmittava di voce, "dava gas"con la mano, e così correva a perdifiato sotto il portico. Che campione: ci meravigliava la sua facilità a schivare vecchiette terrorizzate e ometti in ciabatte con cane al guinzaglio.

Tutti noi fangén del Pratello e di fuori porta correvamo al suo inseguimento, imitandolo. Ognuno ricreava a viva voce il suono della moto che portava nel cuore. Davamo vita così a una magica sfilata di Honda, Ducati, Harley Davidson, Suzuki, Husqwarna. Dalla gola di Motorino, invece, usciva l’autentico borbottio di un motore Piaggio anni settanta. Certi giorni si svegliava particolarmente nervoso e sembrava un cinquantino; il lunedì, più riposato, suonava come un Primavera 125. Nei giorni di nebbia, invece, gli veniva la voce così grossa che sembrava una vecchia Lambretta ai cento all’ora sulla Persicetana.
Il suo forte era il cambio di marcia; in quello nessuno riusciva ad avvicinarsi minimamente alle prodezze modulari della sua voce lambrettosa: sentivi come faceva andare su di giri il motore, poi cambiava rapidissimo, che si notava appena la frizione, il motore scendeva di giri e tornava su, tutto nello spazio di una frazione di secondo. Un artista.
Noi fangén delle "Irma Bandiera" arrivavamo sudati e sfiatati all’angolo con via Frassinago; Motorino ci guardava con quei suoi occhi sempre spalancati ‒ che erano evidentemente i fari ‒ e ci salutava con un’ultima sgasata in folle. Noi andavamo a destra, su per Frassinago, mentre lui continuava per la sua route 66: più avanti, all’entrata della scuola elementare Manzolini, aveva altri fans. Doveva fare in fretta, arrivare prima che suonasse la campana: non poteva deluderli.

A volte vedevo Motorino di pomeriggio, sempre su e giù per via Sant’Isaia. Sembrava che non uscisse mai da quel percorso rettilineo. Io lo chiamavo, lui non rispondeva, io lo osservavo perplesso e non capivo cosa gli succedesse, perché di pomeriggio, devo dirlo, Motorino non era lui: passeggiava zitto zitto sotto i portici, avulso e silenzioso, guardandosi la punta delle scarpe. Difficilmente alzava la testa e, se lo faceva, non rivolgeva lo sguardo a nessuno; sembrava osservare piuttosto dentro di sé, come se avesse perso o dimenticato qualcosa di importante.
Era un’altro, quando entrava in quel suo mondo di silenzio.
A tanti anni di distanza mi chiedo ancora cosa gli succedesse. Forse aveva ragione quel mio amico che un pomeriggio, vedendo Motorino in quello stato catatonico, azzardò la più logica delle risposte: "Per oggi ha finito la benzina" ‒, mi suggerì.
Ma dimmi, Motorino, in che zona oscura della tua mente parcheggiavi la Lambretta quando il silenzio s’impadroniva di te? In quali arcani anfratti della psiche cercavi nuova benzina per tirare avanti?

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