domenica 31 marzo 2013

presentazione e prefazione di Fangén, il libro.


Presentazione di Fangén. Il libro


Che cos’è Fangén?

Queste pagine racchiudono il racconto di un modo di essere bambini in un contesto storico molto particolare, una Bologna a metà strada fra dopoguerra e modernità.

Benché memoria e letteratura contribuiscano spesso a trasfigurare la verità dei fatti, le storie qui narrate sono comunque ispirate a sprazzi di vita di molti fangén d’epoca, raccolti e convogliati su di un unico personaggio. Ci troviamo così innanzi alla creazione di una verità poetica ‒ ricostruita attraverso il ricordo e schegge di fantasia ‒, che si antepone alla verità storica nella ricerca di un senso personale delle cose.

Alcune pagine ci invitano a navigare nel tempo, alla riscoperta di momenti particolari della storia della città come la Marcia dei pazzi del 1868, il sacrificio di Irma Bandiera o la liberazione di Bologna nell’aprile del 1945. Ma il fangén narratore ci riporta sempre al suo presente, alla realtà che lo vede crescere. Ci sono la scuola e l’osteria, la parrocchia e il manicomio, nonni irriverenti e contadini dal fiaschetto facile, ospiti del carcere minorile e pazienti dell’ospedale psichiatrico. C’è il mondo dialettale e contadino, che svanisce in silenzio; c’è la modernità incipiente e c’è lui, il fangén che nuota nelle torbide e agitate acque degli anni ‘70. E soprattutto ci sono una città e un tempo in fermento, che ci sorprendono ad ogni pagina, ad ogni angolo di strada.

Manuel Ciarleglio

Nasce nel 1968 all’ospedale Sant’Orsola di Bologna, proprio dove, sino a un secolo prima, sorgeva il manicomio provinciale.

Oltre al bolognese parla discretamente italiano, francese, inglese, spagnolo e catalano.

Dopo un’infanzia felice nel Pratello si trasferisce a Toulouse, dove studia Lettere Moderne all’U.T.M. Qui, oltre a non laurearsi, fra il 1993 e il 1995 recita e scrive con alterne vicende per il gruppo teatrale Hybride Compagnie. Si rifugia poi a Barcellona dove comincia studi di regia e drammaturgia. Si adopera come regista e tecnico del suono in varie compagnie, poi si stanca di lavorare gratis, la ragazza lo smolla e gli amici si fanno di nebbia.

Agli albori del nuovo millennio decide di cambiare vita e si dedica alla prostituzione nelle forme del lavoro salariato e a cottimo: sarà traduttore, cuoco, interprete, professore di francese, distributore di medicine omeopatiche, e molto altro ancora.

Nel frattempo gli anni volano ma, soprattutto, Manuel si accorge che italiano e spagnolo, bolognese e catalano si confondono nella sua testolina. Quando i pescivendoli di Bologna cominciano a rispondergli in inglese capisce che deve correre ai ripari, allora decide di scrivere Fangén. Ci mette un anno, ma alla fine ce la fa.


Prefazione
(di Paco D'Alcatraz)

Premetto che essendo io un musicista, i libri piú che leggerli li ascolto.

"Fangén" è un testo profondo nella sua sobrietà. Ha un passo leggero ma deciso e questo lo rende attraente. I grandi temi sono stati affrontati quasi tutti a viso aperto e con tanta onestà.

Mi è piaciuta molto la sfrontatezza e la destrezza con cui Manuel ha fatto coesistere armonicamente personaggi teoricamente incompatibili come Irma Bandiera, Motorino e Francesco Roncati.Il Pratello, sfondo e ispirazione di gran parte della narrazione, è un meraviglioso quartiere del centro storico di Bologna attraversato dall’omonima via. È un luogo di tradizione antica come a Lisbona lo è il Bairro Alto o a Parigi Montmartre. Per i bolognesi è sempre stata una zona franca da rispettare con le sue regole e consuetudini. Mio nonno ricordava che già negli anni Trenta questo quartiere popolare era abitato, oltre che dalla miseria, da personaggi bizzarri; alcolizzati, mariuoli, puttane, poeti e artisti vari.

Negli anni Sessanta il quartiere cominciò a snaturarsi mentre al contempo esplose la moda delle nuove osterie che arrivarono anche là portandosi dietro una moltitudine di studenti allegri e chiassosi. Una trasformazione affascinante e vitale che però arrivò lentamente a sfrattare gli autoctoni a favore di quei padroncini che potevano comprarsi gli appartamenti ristrutturati di quella zona ormai alla moda.Il mitico "Margot" esiste ancora, passa per essere uno dei locali più piccoli d’Europa. È una vecchia osteria e resiste, fiera, a servire il vino sugli stessi tavoli di legno che trent’anni fa ospitarono l’autore dodicenne, in qualità di aspirante alcolista . Ora purtroppo non è piú abitata da quegli attori che ne erano l’anima, quegli adorabili stralunati che scintillavano giorno e notte nel quartiere intero.

Del Pratello pulsante e pieno di vivacità e poesia, oggi rimane soltanto, ahimè, l’ombra di sé stesso.

"Fangén" è ricco di personaggi ben descritti e pennellati con affetto. C’è il tentativo di scavare nell’anima dei perdenti ma anche tanta delicatezza nel farlo.

Maestoso "l’Amarcórd" di Manuel quando affonda le mani nel mondo delle campagne bolognesi, nei ricordi dei riti della civiltà contadina, negli ultimi bagliori di quella cultura che per gli emiliani è ancora fonte del loro pensare.

Anch’io sono nato in quella zona, e sono rimasto colpito dal mondo che Manuel descrive quando sta in vacanza dal nonno.

È molto simile a quello che vent’anni prima, anch’io fangén, ho vissuto nei paraggi. Mi sono rivisto a Crevalcore immerso nelle identiche atmosfere e avvolto dallo stesso sole di quelle interminabili estati emiliane, ma tanto tempo prima di lui.

Mi è sorta spontanea la riflessione che nel dopoguerra il tempo si sia addormentato, per svegliarsi violentemente al rumore assordante degli attentati degli anni Settanta.

Dopo avremmo cominciato a correre spasmodicamente a vuoto per arrivare a essere grandi navigatori da tastiera, e contemplare davanti al computer la nostra agghiacciante solitudine. Ma fortunatamente il racconto si è fermato appena prima.

È un tragitto narrativo altalenante, pieno di situazioni emotive differenti. A tratti scintille d’ironia muovono il sorriso, altre invece strappano la ghignata sgangherata, alcuni momenti sono tragici e molto commoventi ma sussurrati sempre con molta garbatezza. Il racconto su Irma Bandiera è a dir poco struggente.

Trovo che "Fangén" sia uno scrigno pieno di segni e testimonianze di un mondo che l’Autore ha voluto fissare e proteggere con affetto. Non è soltanto la sua vita che fa scorrere sulle parole che scrive, ma anche lo

specchio della nostra.

La cosa magica in un libro è che ognuno può vedere e trovare quello che vuole. Quando le parole entrano come musica nei pensieri dei lettori, diventano altro, e l’autore ne perde la paternità.

La sensazione che "Fangén" ha lasciato in me, è quella di una volontà tesa a testimoniare appassionatamente la recente scomparsa di un mondo, dal quale arriviamo col fiato corto per affrontare un futuro che non si lascia piú sognare.

Ma naturalmente posso sbagliare.

Caro Lettore,

quello che ho appena scritto sono soltanto le mie impressioni che valgono esattamente come le tue.

Considerando che ormai il libro ce l’hai tra le mani e che forse l’hai anche pagato, non ti rimane che leggerlo.

Buon viaggio.

Paco d’Alcatraz (Fabio Ferriani)

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